I pensieri che uccidono
Sono gli anni '50 (1950). All'epoca una scoperta inaspettata fu un duro colpo per la scienza materialistica. Durante la guerra in Corea l'autopsia obbligatoria praticata su giovani soldati caduti in battaglia, in media 23 - 25 enni, evidenziò che le arterie di questi soldati, nel 70% dei casi, mostravano segni avanzati di aterosclerosi (restringimento e parziale occlusione delle vene o delle arterie).
Si dimostrò così la presenza di placche di ostruzione al passaggio di ossigeno capaci di portare inesorabilmente all'attacco cardiaco in persone giovani. Ma la media di età, specie quella attuale, per la predisposizione ad un attacco cardiaco, risulta essere tra i 35 ei 45 anni.
Partendo dalla scoperta del 1950 in Corea, significa che le persone soggette ad un attacco cardiaco intorno ai 40 anni hanno iniziato ad ostruire le proprie arterie almeno 20 anni prima.
Ma la domanda sorge spontanea: perchè un organismo dovrebbe aspettare 20 anni per urlare il suo malessere? Perchè l'attacco è sopraggiunto solo quet'anno e non prima o un'altro più in là? Perchè in questa settimana e non una settimana prima o magari mesi dopo? Avete mai chiesto a chi ha avuto un attacco cardiaco se è in grado di dirvi il perchè? Se è in grado di darvi un motivo per se stesso valido?
Ebbene qualcuno lo fece. Nella Haward Medical School si posero questi interrogativi e li "girarono" ai pazienti "freschi" di infarto. Le risposte furono tutte a carattere "emozionale".
Nessuno, dico nessuno, disse che l'infarto era causa di una vita sregolata o dovuta ad eccessi alimentari, alcolici o da nicotina. Tutti, indistintamente tutti, portarono quale causa dell'infarto motivazioni "emozionali".
Qualche esempio: "Mia moglie vuole lasciarmi" - "Mio figlio ha deciso di non andare all'università" - " Mi hanno dato una promozione". Chi esprime questa idea ha qualcosa che possiamo chiamare “pensiero sofferente”, che permette di essere ancorati al proprio Io e di avere sempre un’attenzione particolare all’esterno, verso il mondo.
Chi si esprime così ha donato alle "cose" esterne la propria libertà e la propria salute. Si è imprigionato nella dipendenza dall'esterno. Queste caratteristiche di imprigionamento si possono riconoscere anche nelle piccole azioni quotidiane quando le persone sono molto congruenti con questa stessa idea. L'idea principale del sentirsi non amati, rifiutati, non capiti. E ad ogni "pensiero sofferente" di questo tipo, il cuore viene attaccato e le arterie lievemente occluse.
Tutti i pazienti sapevano, interiormente, cosa li avesse portati all'infarto, ma non potevano prevederlo. Una parte di loro sapeva che tali pensieri avrebbero potuto portarli all'infarto, ma non sapevano quando.
Il corpo, e questo è risaputo, recita costantemente i drammi della mente. Purtroppo nella rappresentazione della vita si sa poco su quale sarà la prossima scena fino a quando saremo imprigionati nella dipendenza e dal voler "controllare" le "cose" esterne. Tutto ciò accade perchè la mente ha negato una parte di se stessa: la possibilità di liberarsi dall'attacamento delle idee e delle credenze, dai bisogni fasulli e dai desideri sugli altri.
Liberando e riconoscendo questa possibilità, interrompiamo le abitudini, cambiamo corportamento e modifichiamo il nostro destino
I nostri pensieri e sentimenti non vivono in modo isolato dalle nostre cellule; sta a noi farne un buon uso.