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 da Mary CROW DOG

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MessaggioTitolo: da Mary CROW DOG   da Mary CROW DOG Icon_minitimeLun Mar 03, 2008 4:35 pm

Il 27 febbraio 1973 salimmo sulla collina dove era stato deciso il destino della vecchia nazione sioux, quella di Toro Seduto e Cavallo Pazzo e dove anche noi avremmo affrontato il nostro. Rimanemmo in silenzio, alcuni di noi erano avvolti nelle loro coperte, ognuno era separato dagli altri dai propri pensieri e sentimenti, eppure eravamo uniti, un po’ tremanti dall’eccitazione e dal freddo di un inverno che se ne stava andando. Si poteva quasi sentire il battito dei nostri cuori.

Non faceva freddo in quella giornata di fine febbraio…non per il Sud Dakota. La maggior parte di noi non si era nemmeno preoccupata di mettere i guanti. Sentivo un vento gentile che mi faceva ondeggiare i capelli soffiandomi delicatamente sul volto. Qualche fiocco di neve che scendeva dal cielo. Percepivamo tutti la presenza degli spiriti di coloro che giacevano là vicino nella fossa comune e ci chiedevamo se sarebbero arrivati i poliziotti. Sapevamo che non avremmo dovuto attendere molto.

I giovani si erano legati delle penne d’aquila alle trecce: non più giovani disoccupati, criminali minorenni o alcolizzati, ma guerrieri. Pensai alle nostre antiche società guerriere: le Volpi, i Cuori Forti, i Tassi, i Soldati Cane. Le Volpi (Tokala) portavano delle lunghe fasce simili a sciarpe. Nel mezzo della battaglia a volte un Tokala scendeva da cavallo e assicurava un’estremità della fascia al terreno. Con questo intendeva annunciare la sua determinazione a combattere in quel punto, senza muoversi fino alla morte o finché un compagno non fosse accorso a portarlo via, oppure sino alla vittoria. Giovani e vecchi, uomini e donne eravamo tutti diventati Volpi e Wounded Knee era divenuto il luogo in cui ci eravamo legati al terreno. Presto saremmo stati circondati e non avremmo potuto ritirarci. Non riuscivo a pensare a nessuno che potesse accorrere in nostro aiuto. Da qualche parte là fuori, nella prateria intorno a noi, le forze governative si stavano radunando, le forze della più grande potenza della terra. In quel momento, in quel luogo decisi che avrei partorito mio figlio a Wounded Knee, a qualsiasi costo.

Improvvisamente l’incanto si ruppe. Tutti si misero al lavoro. Gli uomini scavavano trincee e costruivano ripari, erigendo piccoli muretti con sassi e detriti, stabilendo un perimetro di ultima difesa intorno alla chiesa del Sacro Cuore. Quei pochi che avevano armi da fuoco le pulivano e le controllavano: erano quasi tutte calibro 22 e vecchi fucili da caccia. Avevamo una sola arma automatica, un AK-47 che un ragazzo dell’Qklahoma aveva portato a casa dal Vietnam come souvenir. In tutto ventisei armi da fuoco...non molto in confronto a quanto i nostri avversari avrebbero dispiegato contro di noi. Nessuno di noi si illudeva di poter prendere Wounded Knee senza incontrare opposizione. Il nostro messaggio al governo fu: «Venite a discutere le nostre richieste o uccideteci!». Qualcuno chiamò all’esterno da un telefono che si trovava nel trading post. Continuava a gridare, pieno d’orgoglio: «Abbiamo preso Wounded Knee!».
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