Prima dell’American Indian Movement, c’erano più suicidi tra gli indiani che fra qualsiasi altro gruppo razziale degli Stati Uniti. I giovani bevevano fino alla morte e sniffavano colla. Vivevano nella disperazione. Indossavano la cravatta e si tagliavano i capelli corti cercando di sembrare uomini bianchi. Si vergognavano di essere Indiani. Si vergognavano della propria lingua e delle loro tradizioni indiane. A Wounded Knee tornarono ad essere guerrieri e iniziarono a sentirsi bene con se stessi, a sentirsi bene nell’essere Sioux, Cheyenne, Ojibway, Navajo, Cree, Irochesi, Saulteaux e Nisqually. Si misero sul viso la pittura rossa, lasciarono crescere i capelli, e indossarono con orgoglio quelle camicie con i nastri e quei cappelli da arrabbiati. Chiamarono se stessi «Skins» e la smisero di essere utenti bianchizzati dell’assistenzialismo governativo. Sotto il fuoco dei federali appresero a rispettare se stessi ancora una volta e, dopo quasi cento anni, erano di nuovo là a fare la Danza degli Spettri. Anche se l’AIM non avesse ottenuto nient’altro, avrebbe comunque svolto il suo compito.